Non è più un mistero per nessuno: siamo in piena era di influencer marketing.
I brand, infatti, non hanno solo bisogno di investire in forme pubblicitarie nuove, più efficaci, possibilmente più economiche e in grado di garantire maggiore customer aquisition e retention: le grandi aziende, soprattutto quelle internazionali, hanno capito l’importanza di assumere una voce più umana e svecchiare il proprio tono di voce per raggiungere un migliore posizionamento. Per questa ragione si affidano agli influencer.
CHI SONO E PERCHÉ CONTANO GLI INFLUENCER?
Sono personaggi famosi, esperti del settore o, nella maggior parte dei casi, blogger, youtuber e altri “vip” della Rete diventati influencer di “professione” proprio grazie al loro seguito di fans e alla community che gravita loro attorno. Di questi influencer a convincere le aziende è la capacità di parlare a un pubblico selezionato, con caratteristiche socio-demografiche e abitudini di consumo molto ben delineate e, soprattutto, quella di orientarne le scelte d’acquisto. Non serve richiamare qui numerose ricerche sull’importanza della fiducia anche come driver per i consumi, si tratta del vecchio gioco del passaparola, o del networking nel gergo del marketing: compriamo qualcosa perché ce lo suggerisce un amico, qualcuno di cui ci fidiamo o la cui opinione reputiamo credibile nel campo in questione. Laddove, insomma, i messaggi delle aziende appaiono distanti, di parte, preconfezionati, la voce degli influencer assomiglia sempre di più a quella della persona comune, vicina allo standard, con cui è più semplice immedesimarsi.
COME SCEGLIERE L’INFLUENCER GIUSTO?
Come faccia un’azienda a scegliere l’influencer che fa più al caso suo è una questione più delicata. A spiegarla ci ha provato Paola Nannelli di Blogmeter in un’intervista rilasciata al quotidiano la Repubblica: niente più criteri personali, come avveniva fino a qualche tempo fa, oggi si usano criteri analitici: “Non si tiene conto, per esempio, soltanto dei follower acquisiti, ma della capacità di coinvolgere i propri (engagement) con commenti e like, delle performance nel guadagnare nuovi follower in un determinato periodo, di quanti utenti unici interagiscono davvero sui loro profili social e anche dalla qualità e quantità di post prodotti”, ha spiegato l’esperta. E a questi parametri se ne associano anche altri “semantici” per verificare che le parole chiave e l’emotività dei messaggi (su blog, social, pagine web, etc.) di questi influencer corrispondano con quelli dell’azienda.
A CHI GIOVA L’INFLUENCER MARKETING?
Il risultato? Vantaggioso per tutti, clienti inclusi. Quello che raramente si dice rispetto all’influencer marketing è infatti che, spostandosi su un piano più “soft”, esso contribuisce ad aumentare la soddisfazione complessiva del cliente anche perché è in grado di dargli l’impressione, inedita, di aver accesso a una sfera intima e familiare con il personaggio “famoso” in questione. Due precisazioni importanti, però, vanno fatte a riguardo. Proprio a tutela del consumatore negli Stati Uniti la Federal Trade Commission ha già imposto che tutti i contenuti a pagamento pubblicati sui profili personali di influencer e simili siano contrassegnati dagli hashtag #sponsored o #adv. Mentre in Italia il Giurì deve ancora esprimersi in materia, da gennaio di contenuti simili ne sono stati condivisi solo su Instagram oltre 200mila al mese. Una strategia oculata anche in fatto di influencer marketing, poi, dovrebbe portare il brand a scegliere l’influencer più “naturale” e viceversa: non c’è niente di guadagnato, infatti, in un legame col prodotto che sia percepito come artificioso, posticcio, forzato da parte di chi segue e conosce il personaggio in questione e la sua sfera di riferimento per quanto riguarda gli acquisti e non solo.
QUANTO GUADAGNA UN INFLUENCER?
Dal punto di vista degli influencer non si può non riconoscere la forte attrattività del mercato. Per chi ha un buon seguito, i social sono un «territorio assolutamente lucrativo», scrive l’Economist che ha provato a fare una stima del valore di un singolo post sui diversi social network. Il social meno remunerativo? Twitter: qui si va da un minimo di 2000 dollari per un tweet “sponsorizzato”, postato da utenti con fino a 500mila follower, a un massimo di 60mila per chi di follower ne ha più di 7 milioni. Buoni, invece, i ricavi su Instagram e Snapchat, due social considerati regno per eccellenza degli influencer: i ricavi oscillano tra i 5 mila dollari per chi ha un massimo di 500mila follower e gli oltre 150 mila dollari per chi supera i 7 milioni di follower. Il canale più remunerativo in assoluto, però, sembra essere YouTube: qui bastano appena 500mila follower per guadagnare più di 12mila dollari con un post e ottenere oltre 300 milioni se si hanno più di 7 milioni di follower.