Il Terremoto Deepseek lascia gli esperti con una domanda: e se davvero addestrare l’Intelligenza Artificiale costa pochi milioni, le aziende come Meta, OpenAi e altre, su cosa stanno spendendo tutti quei miliardi di dollari?
Negli ultimi giorni, il nome DeepSeek è sulla bocca di tutti. La piccola azienda cinese di intelligenza artificiale ha prima scombussolato i mercati globali, poi è stata attaccata fino a ridurre in down per qualche ora il sito, poi è finita nel mirino delle autorità italiane per il trattamento dei dati personali.
In mezzo, c’è una rivoluzione che vede, da un lato, i colossi statunitensi dell’IA – abituati a investimenti miliardari – e dall’altro il nuovo attore Deepseek che sostiene di poter fare di più, spendendo molto meno. Con un colpo di scena, l’Italia (e, di riflesso, l’Europa) si trova oggi a valutare se questa “rivoluzione low-cost” possa tradursi in un vantaggio strategico o in un problema da arginare.
Per comprendere a fondo la portata di quanto sta accadendo, è utile raccontare come i mercati globali abbiano reagito all’ascesa di DeepSeek.
Il 27 gennaio 2025 potrà essere ricordato come il “DeepSeek Day”. La startup cinese ha infatti colto di sorpresa l’intero settore tecnologico: Nvidia, per esempio, ha perso quasi 600 miliardi di dollari in capitalizzazione di mercato in poche ore, segnando un record negativo mai registrato prima in una sola giornata. L’effetto valanga ha coinvolto diverse società di chip statunitensi, alcune con rapporti prezzo/utili molto elevati, che hanno anch’esse subìto cali vertiginosi. Di riflesso, l’S&P 500 e il NASDAQ 100 sono arretrati, per quanto alcune delle aziende coinvolte abbiano poi contenuto parte delle perdite nel corso della settimana.
Il segnale lanciato da DeepSeek è semplice: la supremazia che i giganti americani dell’IA si attribuivano è ora messa in discussione.
La presentazione dell’IA di DeepSeek è suonata come un campanello d’allarme in tutti gli Stati Uniti. La società cinese sostiene di saper superare le principali aziende statunitensi a un costo notevolmente inferiore. Fino a poco tempo fa, l’intero andamento dei mercati sembrava poggiare sul presupposto di una costosa e massiccia filiera di fornitura legata all’IA, ma DeepSeek ne sta minando le fondamenta.
L’app rilasciata dalla startup cinese offre funzionalità simili a quelle di ChatGPT o Claude: genera codice, risponde a quesiti e persino compone testi “empatici” per situazioni delicate. La sua peculiarità è che motiva il proprio ragionamento prima di fornire la risposta.
Ciò che appare davvero straordinario è la qualità delle performance, il basso costo e il suo arrivo quasi in sordina.
DeepSeek, nata come spin-off di un hedge fund nel 2023, è frutto del lavoro di un imprenditore quarantenne, Leang W. Fang, di cui esistono pochissime fotografie. Nonostante non fosse un nome noto nella scena tecnologica cinese, era conosciuto nei circuiti finanziari, e sembra abbia studiato ingegneria elettronica e visione artificiale.
Nel mondo dell’IA, DeepSeek non era del tutto sconosciuta: già a novembre aveva rilasciato una versione di anteprima del proprio modello R1, evidenziando performance concorrenziali rispetto ai modelli più famosi, compresi quelli di OpenAI. In breve, si è posizionata ai vertici di una classifica gestita da Chatbot Arena, affiliata all’Università di Berkeley. A gennaio ha compiuto il salto di qualità, rendendo il modello R1 disponibile in un’app che, in poche ore, ha superato ChatGPT di OpenAI nell’App Store.
Gli esperti del settore si sono detti impressionati dalle capacità di DeepSeek, sottolineando che questi nuovi modelli non si limitano a generare testo, ma possiedono competenze matematiche, di programmazione e di ragionamento complesso, simulando la riflessione di una mente umana. L’unica nota stonata è la censura politica, in linea con le direttive di Pechino.
L’aspetto rivoluzionario è che DeepSeek è open source: gli sviluppatori possono ispezionare e modificare il codice, persino a fini commerciali. C’è già chi (come la startup americana Perplexity) ha annunciato l’integrazione di DeepSeek in versione “non censurata”.
Il vero scossone ai mercati è arrivato dalla rivelazione che DeepSeek sarebbe riuscita ad addestrare il proprio modello spendendo appena 6 milioni di dollari.
Questo dato entra in rotta di collisione con le previsioni di personaggi come Dario Amodei (CEO di Anthropic), convinto che, in futuro, occorreranno 100 miliardi di dollari per addestrare un modello di intelligenza artificiale.
Se DeepSeek avesse davvero speso così poco, si aprirebbe un gigantesco interrogativo su come mai i colossi americani abbiano investito miliardi. L’IA è sempre stata considerata un territorio ad altissima intensità di capitali, tanto che, a partire dal 2017, i principali player statunitensi – Microsoft, Amazon, Oracle, Google e Meta – hanno aumentato in modo esponenziale le spese in chip e data center.
Le previsioni parlano di investimenti complessivi superiori ai 250 miliardi di dollari nel solo 2025 per le infrastrutture IA.
Gli investitori di Nvidia hanno avuto buoni motivi per spaventarsi, dato che l’azienda costruisce proprio quei chip e quelle GPU costose su cui si reggeva la “bolla” dell’IA americana. Se fosse possibile ottenere le stesse prestazioni con apparecchiature meno potenti o di vecchia generazione, l’intera supply chain su cui si basavano i grandi investimenti verrebbe messa in dubbio. Non a caso, è crollato anche il valore in Borsa delle società energetiche e delle imprese produttrici di dispositivi, dal momento che l’IA richiede enormi quantità di elettricità per funzionare. Si pensi all’aumento dei consumi di Microsoft e Google, trainati proprio dalle applicazioni di IA.
Le spiegazioni di come DeepSeek sia arrivata a questi risultati puntano sulla creatività con cui ha aggirato il blocco statunitense nella vendita di chip avanzati alla Cina. L’amministrazione Biden aveva applicato restrizioni severe, impedendo a produttori come Nvidia di vendere al mercato cinese i loro prodotti più recenti. DeepSeek, però, si è concentrata sull’efficienza e, riprendendo una strategia tipica degli sviluppatori di videogiochi, è riuscita a spremere fino all’ultimo bit di potenza da chip più vecchi. Il fatto che Leang W. Fang provenisse dal mondo finanziario, e avesse avuto il tempo di accumulare tali componenti, ha ulteriormente favorito la sua impresa. Si tratta, per molti analisti, di una storia che ricorda le mosse compiute da Huawei circa un anno fa, quando riuscì a produrre uno smartphone con processori più avanzati di quanto Washington reputasse realizzabile.
Questo exploit potrebbe scatenare inchieste e tensioni politiche, sia a Washington sia nella Silicon Valley. Diversi osservatori si chiedono se DeepSeek abbia fatto ricorso a tecnologie protette da brevetto o abbia acquisito più chip di quanti ne dichiari. La società cinese non ha commentato, ma Microsoft – stando alle fonti riportate – starebbe conducendo proprie indagini. Dai documenti tecnici pubblicati da DeepSeek trapelano strategie innovative che avrebbero consentito di massimizzare l’efficienza a fronte di risorse limitate.
Nel frattempo, negli Stati Uniti, la comparsa di DeepSeek viene accolta persino con toni positivi da alcune figure di spicco, come l’ex presidente Trump e alcuni “guru” della tecnologia, convinti che la concorrenza, anche se cinese, possa stimolare ulteriormente l’innovazione. Dall’altra parte, però, sale la consapevolezza di aver forse sottovalutato a lungo la capacità di Pechino di produrre tecnologie avanzate. La “supremazia” della Silicon Valley non può essere data per scontata.
Se sul piano globale si assiste a questo “terremoto DeepSeek”, in Europa emergono dinamiche altrettanto significative.
Il Garante italiano per la Privacy ha infatti disposto il blocco immediato del trattamento dei dati personali degli utenti italiani da parte di DeepSeek, giudicando “del tutto insufficiente” la risposta fornita dalla società cinese alle richieste di chiarimento. DeepSeek aveva semplicemente dichiarato di non operare in Italia, sostenendo di non ricadere dunque nella giurisdizione europea, ma l’Autorità nazionale ha considerato questa spiegazione non convincente e ha deciso di intervenire d’urgenza “a tutela dei dati degli utenti italiani”.
Mercoledì scorso, l’app di DeepSeek è sparita dagli store digitali italiani, mentre la versione web risulta ancora accessibile. Il caso ricorda da vicino la vicenda ChatGPT di due anni fa, quando OpenAI aveva dovuto sospendere il servizio in Italia per adeguarsi alle norme sulla privacy e sulla protezione dei minori. Le prime indiscrezioni riferiscono che la mossa italiana abbia suscitato l’interesse di altre autorità europee, in particolare quella francese, pronta a valutare un’azione analoga.
A complicare ulteriormente lo scenario, ci si mette OpenAI, che ha accusato DeepSeek di aver “rubato” parte dei suoi modelli o del codice originario, riaprendo il dibattito sulle questioni di brevetti e diritti d’autore nell’IA.
La scelta di Meta di rendere open source la propria tecnologia di IA Llama, adottata nel 2023, fa da sfondo a queste tensioni. Per alcuni analisti, l’approccio di Meta avrebbe posto le basi per il “salto” di DeepSeek, consentendo ai ricercatori cinesi di colmare rapidamente il divario. Yann LeCun, scienziato capo di Meta, sostiene che la condivisione delle scoperte in modalità aperta acceleri la ricerca e moltiplichi i vantaggi, anche se ciò significa offrire alle aziende rivali – incluse quelle cinesi – l’accesso a tecnologie di prim’ordine. Il tema dell’open source crea però notevoli sfide sul piano legale e regolamentare. In un contesto dove i dati personali, la censura e la protezione dei minori hanno un peso sempre maggiore, l’Europa cerca di compiere passi importanti per evitare gli errori del passato e per definire una via “etica” e responsabile allo sviluppo dell’IA.
A questo punto, sorge spontanea la domanda: in che misura questa rivoluzione potrebbe tradursi in un vantaggio per l’Europa e, in particolare, per l’Italia che ha dimostrato di saper intervenire con decisione sui grandi player digitali?
Da un lato, DeepSeek mostra che non occorrono budget mastodontici per competere.
Dall’altro, la severità con cui il Garante ha agito, ricordando molto quanto avvenne con ChatGPT, evidenzia la volontà di non sacrificare i diritti degli utenti sull’altare dell’innovazione. Alcuni ritengono che l’Europa potrebbe trarre ispirazione dallo sviluppo cinese “frugale” e integrare queste soluzioni in un quadro normativo che garantisca trasparenza e tutela della privacy. Altri temono che una regolamentazione troppo stringente spinga l’innovazione a fuggire altrove. La realtà, forse, è che l’equilibrio tra opportunità tecnologiche e difesa dei diritti fondamentali si giocherà sempre più sul filo del rasoio.
Il “terremoto DeepSeek” assume così una duplice valenza. Da un lato, sul fronte tecnologico, scardina l’idea che per ottenere sistemi di IA avanzati siano indispensabili investimenti miliardari e mostra come nuove strategie di efficienza possano sfidare restrizioni commerciali e dominio di mercato. Dall’altro, sul piano regolamentare, pone l’Europa di fronte a scelte cruciali, chiamando in causa sia le autorità garanti sia un dibattito politico su come salvaguardare diritti e valori in un contesto che evolve a velocità inaudita. Si tratta, in definitiva, di una partita che incrocia modelli di business, normative sulla privacy, strategie geopolitiche, libertà di ricerca e interessi commerciali enormi.
C’è chi vede in DeepSeek l’anticipazione di una possibile strada da seguire anche in Occidente: superare la dipendenza dai colossi statunitensi, privilegiare un’IA meno costosa e più alla portata di realtà imprenditoriali medio-piccole, meglio se inquadrata in un sistema di regole chiare. Resta però il rischio che i divari tecnologici possano ampliarsi e che l’Europa resti a guardare mentre americani e cinesi si sfidano su terreni dove i confini tra pubblico e privato, tra sicurezza nazionale e diritti individuali, sono sempre più labili.
La storia di DeepSeek dimostra che perfino barriere commerciali e restrizioni sull’export di chip possono essere aggirate con soluzioni ingegnose, capaci di produrre risultati pari o superiori a quelli delle aziende più grandi e ricche. L’interrogativo più pressante, per l’Europa e l’Italia, è se e come tradurre questo “terremoto” in un’opportunità, avviando uno sviluppo dell’IA che abbia costi sostenibili e rispettoso delle regole, oppure se in nome della tutela dei diritti la porta resterà chiusa a doppia mandata. Quel che appare chiaro è che l’era dell’IA sta entrando in una nuova fase, e DeepSeek è solo l’esempio più recente di come l’innovazione possa ribaltare tutte le certezze in pochi mesi. L’Unione Europea, già impegnata nella costruzione di una politica comune sulla tecnologia, dovrà decidere se cogliere l’occasione di una “via europea” all’IA o rischiare di ritrovarsi spiazzata, stretta tra l’avanzata di modelli cinesi e la supremazia consolidata dei colossi americani.
#ai #intelligenzaartificiale #deepseek #openai #meta #chatgpt #llama