Era il 2011 e la provincia di Torino veniva svegliata all’alba da una notizia amara. Arresti, infiltrazioni criminali, mafia. Mafia al nord, mafia a Torino, mafia in molte cittadine della provincia. Rivarolo e Leinì hanno visto i loro comuni sciolti per infiltrazioni mafiose, il territorio si era guardato allo specchio e aveva scoperto che la mafia non era solo una questione del sud. *
Riguardava anche loro, riguardava tutti.
In particolar modo i media si sono concentrati sul Comune di Volpiano, luogo di residenza di alcuni degli arrestati. Per i giornali e i giornalisti, in qualche modo, Volpiano, già interessata da vicende legate ai clan calabresi nel passato, è diventata la città Mafiosa piemontese per eccellenza. La stessa città che pochi mesi prima era andata alle elezioni e aveva visto tra i candidati sindaco Nevio Coral, già sindaco della vicina Leinì, che si era proposto come primo cittadino a Volpiano ed era stato battuto da Emanuele De Zuanne, rieletto nel 2016 sindaco della città e oggi al suo secondo mandato.
Nevio Coral è stato arrestato nell’ambito dell’operazione Minotauro, così chiamata dalla procura, e successivamente condannato in cassazione a 8 anni di reclusione e al pagamento di un risarcimento al Comune di Volpiano, che si è costituito parte civile nel processo, insieme al Comune di Leinì, reclamando i danni di immagine. L’ex sindaco di Leinì ed ex consigliere comunale di Volpiano è stato costretto dalla sentenza del giudice a pagare complessivamente 100mila euro oltre le spese legali. Ma è stato possibile chiedere il risarcimento a Coral solo perché lui ha scelto il processo ordinario. Gli altri imputati legati a Volpiano hanno chiesto il rito abbreviato, per il quale l’ordinamento italiano non prevede costituzione di parte civile.
Il danno esistenziale all’immagine, questa la dicitura giuridica, si verifica quando una persona, nel corso della propria attività, causa un danno non economico a qualcosa o a qualcuno.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che il processo Minotauro ha stabilito inequivocabilmente che la mafia al nord esiste. Che la mafia, a Volpiano così come in altri comuni del nord, c’è. C’è non da oggi, ma da più di vent’anni, come testimoniano le inchieste ed i processi degli anni novanta.
Che c’è anche adesso, in questo momento. Come è stato confermato dalle sentenze dei processi ed è dimostrato proprio dal danno di immagine che il tribunale ha riconosciuto ai Comuni di Volpiano a Leinì.
Ma cosa vuol dire?
Vuol dire che le persone che si sono rese responsabili dei reati penali di tipo mafioso che sono stati accertati dai giudici sono anche colpevoli, oltre che dei loro reati, anche di aver arrecato un danno all’immagine dei comuni di Volpiano e Leinì e ai loro cittadini.
Tuttavia, la cifra che è stata pagata, 50mila euro a testa per ciascuno dei comuni di Volpiano e Leinì, non è assolutamente commisurata al danno reale causato da queste persone alle comunità. Perché il danno reale è molto più grande.
Un esempio? Provate a cercare Volpiano su Google, o a fare caso ai titoli di giornale, che non perdono occasione per citare Volpiano accostandola sempre alla Mafia e all’ndrangheta, anche quando i responsabili dei reati sono di altre città.
La mafia c’è, esiste ed è presente. Per i media e per quelli che conoscono poco le vicende, Volpiano è semplicemente una piccola città mafiosa.
Ma è la stessa cosa?
Avere la mafia in casa ed essere una città mafiosa è la stessa cosa?
Forse conviene ricapitolare un po’ di storia.
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Beh Intanto Volpiano è un paese di origini antiche, preromane, che recentemente ha tagliato il traguardo dei primi 1000 anni di storia documentata. Il protagonista della storia di Volpiano era Guglielmo, abate, musico e architetto intorno all’anno 1000, poi intorno al 1300 è diventata sede del marchesato del Monferrato e poi, nel 1555, termina la sua partecipazione sulla ribalta della grande storia con la distruzione del castello da parte dei francesi.
Da allora, quasi più nulla fino al secondo dopoguerra.
Possiamo far risalire le origini della mafia in Piemonte e al nord, oltre alle migrazioni interne e allo spostamento delle attività criminose verso le zone più ricche del Paese, ad uno sciagurato provvedimento legislativo del 1931, chiamato Confino, che era il sistema che usava il governo fascista per allontanare quelli che venivano ritenuti pericolosi per lo stato e la società, anche avversari politici, confinandoli in località remote e con poca comunicazione, in funzione preventiva, quindi senza necessariamente aver compiuto alcun crimine.
Nel 1956 il confino venne cambiato in “soggiorno obbligato” e, al posto degli avversari politici, lo stato iniziò a mandare in soggiorno obbligato i mafiosi.
E’ così che nei primi anni ‘70 lo stato Italiano scelse, in modo quasi suicida, di curare la malattia diffondendola nell’organismo.
Una di queste località remote che fu scelta per il soggiorno obbligato di alcuni personaggi dell’ndrangheta calabrese, che all’epoca non veniva chiamata nemmeno così, fu proprio Volpiano.(mettere immagini con titoli Mafia Calabrese)
In Piemonte le enclave ndranghetiste che erano state obbligate ad andare via dalla loro terra d’origine crebbero e si moltiplicarono negli anni, replicando l’organizzazione della terra d’origine e dedicandosi al crimine. (mettere immagine con schema ‘ndrangheta)
Senza dimenticare che, come il giudice Giovanni Falcone ha sempre ricordato, la mafia si rintraccia attraverso il denaro. Gli anni del boom economico e di esplosione demografica e industriale del nord, non sono passati inosservati agli occhi della malavita. Così, come ogni malattia, il virus dell’ndrangheta si è spostato per infettare il ricco nord.
Il 2 novembre 1982 ci fu prima operazione di polizia contro un boss della ‘ndrangheta a Volpiano. Fino ad allora questo piccolo centro del Basso Canavese, distante appena sedici chilometri da Torino, era conosciuto perlopiù per essere il luogo dove sorgono i pozzi di captazione dell’acqua dell’acquedotto di Torino, per la sua industria di alluminio e per la sua raffineria di carburante ben visibile dalle autostrade che portano ad Aosta e Milano.
All’inizio fu il rapimento di Mario Ceretto, l’industriale di Cuorgnè, sequestrato e trovato ucciso cinque giorni dopo. Era il 1975. Un dato per tutti: tra il 1970 ed il 1983, la Procura della Repubblica di Torino registra 44 omicidi di mafia. Ma la gente ancora non comprende: guarda, scrolla le spalle e se ne va.
In mezzo a tutta questa indifferenza la geografia criminale nel torinese cambia pelle.
Poi arrivano gli anni 90, con l’operazione Colpo di Coda che decima l’ndrangheta a Volpiano e in Piemonte. Viene sciolto per mafia il comune di Bardonecchia e viene sequestrato un immobile di proprietà di un ndranghetista, a Volpiano, che viene dato al Comune. Erano gli anni 90 e quella era una laboratorio di produzione e un centro logistico per lo smistamento di droga.
Con le condanne dei primi anni 2000, il sipario sembrava essere calato sul paesone alle porte di Torino e di Mafia, in piemonte, non si è sentito più parlare, quasi che non ci fosse mai stata.
Come a dire Tucanen, lasciamo stare in piemontese, per far finta che non fosse mai successo nulla.
Poi l’inchiesta Minotauro nel 2011.
Era dal 1995 che in Piemonte non veniva sciolto un comune per infiltrazioni mafiose. All’epoca era toccato a Bardonecchia, nel 2011 è toccato a due comuni della provincia di Torino, Rivarolo Canavese e Leinì.
Il Comune di Volpiano ha deciso di costituirsi parte civile al processo Minotauro che però è stato risparmiato dallo scioglimento per mafia.
Le sentenze dei magistrati mettono i brividi. La mafia in piemonte esiste. E’ un fatto giuridico, oltre che storico e di cronaca nera.
Varie sentenze e centinaia di articoli di giornale ricostruiscono con precisione le vicende e i reati, anche i delitti, che sono legati a Volpiano, quasi sempre solo per la residenza dei criminali.
Vivevano a Volpiano e delinquevano nei comuni lì intorno. Come da manuale, il paese di residenza dei mafiosi è sempre il più tranquillo di tutti.
Non è un caso che a Volpiano non si siano avute notizie di rapine violente nelle banche del paese per molti anni.
La prima rapina a mano armata, dopo tanto tempo, è del 2015. Un segnale forse che la mafia ha ridotto il suo controllo sul territorio anche grazie al lavoro delle forze di polizia e dei magistrati, oppure che si sta riorganizzando per ritornare.
Gli indizi si accumulano, i segnali sembrano esserci davvero tutti.
Quindi. Volpiano è davvero una città mafiosa?
Che cos’è Volpiano allora? Sarebbe molto più semplice pensarla come una città di mafia, ma forse è qualcosa d’altro. Cominciamo dalle basi.
Volpiano conta poco più di 15000 abitanti, si trova in Piemonte, al confine sud del canavese, poco al di là dell’influenza della grande Torino.
Volpiano ospita i pozzi dell’acquedotto metropolitano che disseta Torino e altri centri della provincia. E’ anche sede di uno dei più grandi depositi di carburante del nord ovest d’Italia, sede di decine di industrie importanti in svariati settori, leader nazionali e internazionali, che hanno deciso di stabilirsi qui anche per la strategica posizione logistica, all’incrocio di due grandi autostrade e per le condizioni economiche vantaggiose rispetto ad altri luoghi.
Le amministrazioni, in questi anni, hanno cercato di recuperare il centro storico della città, hanno dato precedenza al patrimonio scolastico negli investimenti e si sono sempre distinte per una attenta gestione finanziaria che ha fatto risultare spesso Volpiano tra i migliori comuni a livello nazionale negli indicatori di livello economico. (filmati you tube su queste notizie)
Ci troviamo nella ex cascina AMATEIS, bene confiscato all’ndrangheta a Volpiano nel 1994, oggi sede del distaccamento di volpiano dei vigili del fuoco volontari e del Centro Operativo Comunale di protezione civile
All’epoca veniva utilizzato come laboratorio clandestino per il confezionamento della droga per tutta Torino.
A fianco alla ex cascina, ha sede la Scuola Nazionale cinofili dei vigili del fuoco, i cani che qui vengono addestrati partecipano ad azioni in tutta Italia in occasioni di terremoti, frane, alluvioni, insomma, si produce del bene comune in un luogo che era in mano alla criminalità organizzata.
Sembra una città mafiosa?
Volpiano sede dell’ndrangheta al nord, volpiano città di mafia e di mafiosi, volpiano città di confine. abbiamo provato a chiedere agli insegnanti della scuola media della città la loro percezione e il loro lavoro sul territorio, per capire se davvero le cose stanno così.
Una presenza discreta, attenta a non farsi scoprire dalle forze dell’ordine, o una città che diventa una metafora retorica, come la sineddoche, una parte per il tutto?
Associazionismo, eventi, cultura, sport. Frequentare Volpiano vuol dire accorgersi che le attività portate avanti da Comune e Associazioni sono tantissime. Eppure, sui giornali e online, le notizie di segno negativo sembrano prevalere. Come se per Volpiano non ci fosse speranza di redenzione. A tratti, sembra un complotto.
Una realtà articolata, diffusa, che va dallo sport alle feste di paese. Per fare in modo che la città sia qualcosa di più di un dormitorio per chi lavora nelle zone industriali, ma una casa, un luogo da vivere.
E invece no. Regolarmente, sui giornali e su internet, il nome di Volpiano compare sempre associato a fatti legati alla mafia, come in questo articolo del Risveglio del Canavese, in cui si parla dei vecchi legami della cellula andranghetista, smantellata ormai da diversi anni.
Eppure il titolo comincia per “Volpiano”. Di articoli così è pieno il web, basta andare a dare un’occhiata.
Siamo in un’epoca di complotti veri e supposti e quasi verrebbe da pensare che qualcuno si sia “messo d’accordo” per infangare l’immagine della città, anche quando la città non c’entra nulla.
Ma sono davvero i giornalisti i veri colpevoli di questa vicenda?
E questi titoli? Questi articoli di cui abbiamo parlato e che colpiscono per il collegamento a Volpiano a volte un po’ forzato?
Per quanti anni si parlerà ancora di Volpiano e Mafia? Per quanto ancora Google e i giornalisti ci ricorderanno dei fatti degli ultimi 50 anni?
***Ecco cos’è il danno di immagine.
Ecco il motivo per cui è stato riconosciuto il risarcimento al Comune di Volpiano.
Perché nei prossimi anni si continuerà a parlare di Volpiano e di Mafia, come se il luogo fisico, il territorio, ne fosse la causa, non le azioni dei responsabili.
Un Cancro insomma dove l’intero organismo è colpito e sta male e anche se la gran parte delle cellule sono sane, quelle cancerose possono portare alla morte dell’organismo colpito.
Ecco il danno d’immagine è per le cellule sane, incolpevoli, e vittime .
La memoria giornalistica, poi, e lo stesso modo in cui comunichiamo premiano la semplificazione, l’esagerazione, il titolo facile, che rassicura.
Ma tutto è metafora, nella mente umana, che funziona riducendo i discorsi complessi a facili slogan. Basti pensare ai cittadini di Volpiano di origine calabrese, che nulla c’entrano con le vicende Minotauro e ancor meno con l’ndrangheta.
Vittime due volte, si potrebbe dire, la prima in quanto cittadini di Volpiano, la seconda per la loro origine in comune con gli ‘ndraghetisti.
Cittadini di Volpiano costretti a vergognarsi delle loro origini, magari del loro stesso cognome.
La soluzione? Non c’è, se non nel medio-lungo periodo. Per come funzionano gli archivi, l’associazione tra Volpiano e l’ndrangheta durerà ancora molti anni, basti pensare alla fama di Bardonecchia, che dopo 30 anni e un’olimpiade invernale rimane ancora il primo comune sciolto per mafia in piemonte.
Rassegnarsi? Mai. Perché se è vero che la comunicazione semplifica e i giudici giudicano, allora anche i cittadini volpianesi possono riscattare il nome della loro città, attraverso il civismo, l’associazionismo e molta pazienza.
A Volpiano dicono spesso Tucanen. Un modo di dire piemontese che nella sua applicazione quotidiana ha preservato la città da infiltrazioni mafiose.
Tucanen vuol dire non toccare, non spostare, lascia perdere. Una resilienza ai cambiamenti improvvisi, frutto di una millenaria tranquillità.
Ma Tucanen vuol dire anche non ne voglio sapere niente, lasciami perdere, non ci voglio entrare. Tucanen è anche un modo per isolare ciò che non ci piace.
Ma non è con questo genere di resistenza passiva che si riesce a stare fuori da certe cose, che ti entrano in casa lo stesso come è successo a Volpiano.
E allora che fare?
In giappone dicono che un vaso rotto e aggiustato ha un valore maggiore di un vaso nuovo. Per questo lo riparano con polvere d’oro, per renderlo più prezioso.
Perché qualcuno se n’è preso cura, perché è valsa la pena ripararlo..
Lo chiamano Kintsugi, e l’idea è che da qualcosa di imperfetto e di ferito possa nascere qualcosa di perfetto, sia esteticamente che interiormente.
Volpiano, abitata da 2500 anni, è una piccola città eterna, ha il tempo dalla sua.