Il TTIP acronimo di Translatantic trade and Investment Partenership è un progetto che prevede la costruzione di un mercato unico per merci, investimenti e servizi tra Europa e Nord America.
A prima vista sembra una cosa ottima. Possiamo finalmente vendere i nostri prosciutti agli americani. Fino ad ora il San Daniele se lo sognavano soltanto. Così varrebbe anche per il nostro vino, a confronto della loro acquaccia sporca della California è nettare degli dei.
Ma… ehi. Anche loro possono vendere la loro roba a noi. E la loro roba non è messa molto bene.
I negoziati tra le due parti sono ufficialmente iniziati nel giugno del 2013, e soltanto recentemente sono stati de-classificati. Ovvero non sono più protetti dal “segreto di stato” – è impreciso ma nella sostanza è così. Infatti se avete voglia ecco qua un bel link, così ve li potete anche leggere per intero.
Intanto cominciamo a fornire gli strumenti interpretativi della questione. Perchè senza una bussola, rischiamo di perderci.
L’eliminazione dei dazi doganali tra USA e Europa, vuol dire che le merci che prima erano protette, soprattutto quelle alimentari, perchè le altre ci arrivano già in qualche modo, erano soggette principalmente a due tipologie di barriere:
- Le Barriere Tariffarie (traduzione: prezzo di vendita, più costo dei dazi doganali, uguale prezzo finale
- Le Barriere non Tariffarie (traduzione: tutti i costi delle certificazioni, del non uso dei pesticidi piuttosto che delle coltivazioni doc e docg, tutto il pezzo relativo alle Indicazioni Geografiche protette eccetera)
E’ evidente che la questione non si concentra sul prezzo, ma sulla qualità. Se gli Americani possono vendere roba a basso costo grazie all’uso, per esempio, di pesticidi vietati in Europa, ci troveremo di fronte alle stesse contraddizioni che abbiamo affrontato quando abbiamo accettato di abbassare i dazi con la Cina, in nome del libero commercio. Il risultato è stato l’invasione dei nostri mercati da parte di prodotti che non rispettano assolutamente i nostri standard, sia dal punto di vista qualitativo, che anche e soprattutto da quello umano. Persone pagate pochi euro al giorno, sfruttate, che dormono nelle stesse fabbriche in cui lavorano. Inaccettabile.
Ma inaccettabile non soltanto dal punto di vista umano, ma anche dal punto di vista competitivo.
Sarebbe come giocare a calcio contro qualcuno che ha il diritto di usare anche le mani. E tu no.
Insomma, consentire al TTIP di passare così com’è rappresenterebbe un DANNO per la nostra economia e la nostra salute, e un VANTAGGIO INACCETTABILE per le multinazionali americane, che risparmiando una cifra enorme sarebbero messe sullo stesso piano delle aziende europee e soprattutto italiane.
Ingiusto. Dico di più. Perchè se i trattati TTIP venissero firmati così come sono, gli americani protrebbero (tratto da Il Fatto Alimentare):
- Principio di precauzione – Per autorizzare un prodotto, in Europa è richiesta un’evidente assenza di rischio, mentre negli Usa è sufficiente l’assenza dell’evidenza di un rischio. Da noi, l’identificazione di incertezze scientifiche serie giustifica l’adozione di misure basate sul principio di precauzione, che consente di scegliere l’opzione più protettiva per il consumatore. Negli Usa, il prodotto viene autorizzato, salvo poi adottare misure restrittive, se si evidenziano rischi.
- Controlli – L’Unione europea ha adottato la strategia “dai campi alla tavola”, cioè un controllo integrato di filiera, che va dalla produzione primaria, compresi i mangimi e i fertilizzanti, fino alla vendita al dettaglio. I controlli statunitensi, invece, sono più concentrati nella parte intermedia, cioè sulla grande produzione alimentare.
- Pesticidi – Negli Stati Uniti, sono autorizzati 82 pesticidi vietati nell’Unione europea. Senza una regolamentazione specifica e adottando il meccanismo di equivalenza automatica, con il TTIP i produttori di questi pesticidi potrebbero chiedere di poterli commercializzare anche in Europa.
- Ogm – A parole, non dovrebbero far parte del TTIP ma le reazioni dei negoziatori statunitensi alla nuova proposta di regolamento della Commissione Ue sulla possibilità dei singoli Stati di vietare gli ogm in mangimi e alimenti, autorizzati a livello europeo, così come già avviene per le coltivazioni, dimostra il contrario.
Negli Stati Uniti, gli ogm vengono considerati equivalenti agli alimenti e alle sementi convenzionali. La Food and Drug Administration (FDA) li ha riconosciuti come generalmente sicuri e quindi non esiste un quadro giuridico con regole specifiche. Negli Usa, gli ogm non devono essere preventivamente autorizzati, e i produttori sono responsabili della sicurezza. Inoltre, non esiste un piano di monitoraggio sui possibili effetti nel lungo termine e ogni procedura di consultazione risulta volontaria. Gli Usa contestano la normativa europea che, oltre ai possibili divieti nazionali, consente alla Commissione Ue di non autorizzare gli ogm, anche se hanno ottenuto parere favorevole da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa). Secondo gli Usa, una volta che un ogm ha avuto parere scientifico favorevole, la sua autorizzazione alla commercializzazione dev’essere automatica. Anche sul fronte dell’informazione e della trasparenza nei confronti dei consumatori le diversità tra Ue e Usa sono sostanziali. Da noi è obbligatoria l’etichettatura dei prodotti alimentari che li contengono in quantità superiore allo 0,9% rispetto al peso totale, negli Stati Uniti l’etichettatura è volontaria e pochissimi riportano la dicitura sulla confezione. Secondo uno studio realizzato dalla Direzione generale delle politiche interne del Parlamento europeo, “nei negoziati relativi al TTIP, una facilitazione nell’approvazione e nel commercio degli ogm è un’importante richiesta dei coltivatori e delle imprese statunitensi. Essi sono sostenuti dalle autorità Usa, che lamentano la lentezza e le poche autorizzazioni alla vendita e al commercio di organismi geneticamente modificati nell’Unione europea. Il governo degli Stati Uniti vorrebbe anche una soglia di tolleranza più alta per le tracce di ingredienti geneticamente modificati nel cibo e nei mangimi. Il governo Usa, inoltre, ritiene che l’etichettatura obbligatoria degli ogm discrimini ingiustamente questi prodotti”.
7. Cloro – Richiedendo l’equivalenza e non l’identità degli standard igienici, il TTIP consentirebbe anche l’esportazione dagli Usa nell’Ue della carne dei polli, le cui carcasse sono state lavate con acqua di cloro, cioè con candeggina diluita, pratica che in Europa è vietata. Nell’Ue, infatti, è consentito solo il lavaggio con acqua potabile. In Italia non è praticato neppure questo e, dopo la macellazione, i polli vengono subito trasferiti in celle frigorifere, per abbassare rapidamente la temperatura e ridurre al minimo qualsiasi tipo di sviluppo microbico. Il sistema è più oneroso ma preserva meglio la qualità del prodotto.
8. Clonazione – Negli Stati Uniti è consentita la commercializzazione di carne e latte di animali discendenti da cloni e questa caratteristica non deve essere indicata in etichetta. L’Unione europea non ha ancora regolamentato la materia. Un eventuale divieto da parte europea, una volta approvato il TTIP, potrebbe essere considerato come una barriera non tariffaria al libero commercio e quindi contestato. Secondo un’indagine del 2010 di Eurobarometro, il 67% dei consumatori europei esprime forti riserve sulla clonazione animale nella catena alimentare, il 57% non ne vede benefici e il 70% pensa che non debba essere incoraggiata.
9. Igp e Dop – Gli Stati Uniti non riconoscono i marchi che contraddistinguono le eccellenze agroalimentari europee come l’Igp (Indicazione geografica protetta) e la Dop (Denominazione di origine protetta). L’Italia, con 271 Igp e Dop, è il paese europeo con il maggior numero di marchi. Parallelamente al mancato riconoscimento delle certificazioni europee, negli Stati Uniti ha preso largamente piede il fenomeno industriale dell’Italian sounding, cioè di prodotti che richiamano un prodotto italiano, a volte storpiando il nome. Come riassume un documento del Ministero dello sviluppo economico, che pubblica anche diverse foto esemplificative, “l’Italian sounding è quel fenomeno di contraffazione imitativa che negli Stati Uniti colpisce i prodotti italiani del comparto agro-alimentare, anche se protetti da indicazioni geografiche o denominazioni di origine. Tecnicamente è una pratica che non lede alcun diritto di proprietà intellettuale negli Usa ma che induce il consumatore, attraverso l’utilizzo di parole, colori, immagini e riferimenti geografici, ad associare erroneamente il prodotto locale a quello italiano. L’imitazione evocativa dei prodotti italiani è causa di un consistente danno economico alle aziende del settore che operano negli Usa (…) laddove tre prodotti alimentari italiani su quattro all’estero non sarebbero autentici”.
Dall’altra parte dell’Atlantico, i soli formaggi statunitensi con nomi generici di origine europea – come Asiago, Fontina, Gorgonzola o Feta – rappresentano un giro d’affari annuo di 21 miliardi di dollari. I produttori americani giudicano inaccettabile il tentativo europeo di restringerne la commercializzazione nell’ambito del TTIP, giudicandola una misura protezionista e una barriera non tariffaria. La prospettiva di accordo nel TTIP è quella di un mutuo riconoscimento di alcuni prodotti: da una parte, i prodotti statunitensi dovrebbero indicare in etichetta l’origine del prodotto, senza alludere alle indicazioni geografiche europee corrispondenti, dall’altra l’Europa dovrebbe consentire l’esportazione nell’Ue di questi prodotti, sinora vietati. Questa soluzione aprirebbe un maggior mercato negli Usa per le Igp e le Dop europee, grazie all’abbattimento delle barriere tariffarie. Il contraccolpo negativo si potrebbe avere sul mercato europeo, dove i consumatori troverebbero per la prima volta prosciutti, formaggi e salumi con lo stesso nome di quelli italiani, ad esempio, ma a minor prezzo.
10. ISDS – Questo è uno dei punti più controversi della trattativa sul TTIP, perché si prevede la creazione di un sistema di arbitrato sovranazionale (ISDS), che, bypassando i sistemi giudiziari nazionali, sarebbe incaricato di risolvere le controversie tra aziende straniere e governi accusati di non rispettare le clausole del trattato. Il timore diffuso è che in questo modo si cerchi di far prevalere gli interessi economici e commerciali su quelli di tutela della sicurezza e della salute, in particolare nel settore agroalimentare. Secondo la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento europeo, “tale meccanismo può in sostanza mettere a repentaglio i diritti sovrani dell’Ue, dei suoi Stati membri e delle autorità regionali e locali, di adottare regolamenti in materia di salute pubblica, sicurezza alimentare e ambiente”. Infatti, “dovrebbe spettare ai giudici dell’Ue e/o degli Stati membri, che offrono un’efficace tutela giuridica fondata sulla legittimità democratica, risolvere tutti i casi attesi di controversie in modo competente, efficiente ed economicamente conveniente”.